INTRODUZIONE

 

Soltanto quattro ore di volo per l’Iran: quanto basta per passare dal mondo occidentale, aperto e liberale, ad un altro che i media ci hanno rappresentato come oscurantista e integralista. Un viaggio programmato nel corso di lunghi mesi che sembrava, a molti,  dovermi proiettare oltre i confini di un mondo accessibile e sicuro. L’annuncio di andare in vacanza nell’antica Persia è stato accolto da molti con grande stupore: “Ma come, non li leggi i giornali? Sei imprudente, da solo in un paese come l’Iran!”. Le raccomandazioni e le preoccupazioni che da più parti mi arrivavano, sugellavano l’immagine  più diffusa nella nostra cultura: un Paese rappresentato come inaffidabile e altamente rischioso, tanto che qualcuno lo accosta ad un paese in guerra o pronto a circuire, chissà in quali circostanze misteriose, ogni occidentale che vi mette piede. Nell’immaginario collettivo  l’Iran rimane ancora un Paese reazionario, retrogrado, pullulante di terroristi e pieno di odio verso il mondo occidentale.

 

Anche in Iran, molti erano sorpresi di trovarsi un italiano in vacanza,  da solo e soltanto con un biglietto di andata e ritorno: “Come mai hai scelto di venire in Iran?... è curioso che sei venuto nel nostro Paese per le tue vacanze”.  Nel lungo collage di persone incontrate, più di qualcuno mi ha esortato a restituire, al mio ritorno, l’immagine di un luogo tutt’altro che pericoloso: “Dillo ai tuoi amici che noi non siamo terroristi”, provocandomi, talvolta, un imbarazzante disagio di fronte ad una impareggiabile accoglienza e ospitalità, mai riscontrata nei tantissimi Paesi prima visitati. Ad ogni incontro, la stretta di mano sembrava condensare, tra me e le tante persone conosciute, il tentativo di porre fine simbolicamente a una frattura storica tra l’Occidente e l’Iran: due mondi per molto tempo  isolati e distanti, ciascuno de quali, anche per effetto di manipolazioni mediatiche, tende ancora  a immaginare l’altro in modo molto distorto rispetto alla realtà delle cose.

 

Tutto ebbe inizio qualche decennio fa.

 

Nel 1979, spazzando via la dinastia dei Pahlavi, venne proclamata la Repubblica Islamica d’Iran. Dopo un lungo esilio all’estero Khomeini rientrava nel suo paese di origine accolto dal popolo come massima guida politico-spirituale e la storia iniziava così un nuovo corso. I grandi moti rivoluzionari ridisegnavano un nuovo assetto sociale e politico dello Stato, fondato sui principi del fondamentalismo islamico e ispirandosi alla legge coranica. Veniva istituito un governo di tipo teocratico e l’antica Persia diventò l’odierno Iran: un processo rivoluzionario che comportava necessariamente l’eliminazione di qualsiasi influenza proveniente dal mondo occidentale e contemporaneamente ogni possibile opposizione interna..

 

Approfittando dell’assenza dello Scià Reza Palavi, negli USA in quanto gravemente malato, nel novembre dello stesso anno alcuni fondamentalisti iraniani assaltarono l’ambasciata americana a Teheran e presero in ostaggio 66 impiegati, chiedendo, per la loro liberazione,  le scuse ufficiali del governo americano per l’appoggio concesso allo Scià e la sua consegna alle autorità iraniane per istruire un processo nei suoi confronti.

 

Il sequestro,  durato 444 giorni, trovò un positivo epilogo grazie all’intervento diplomatico algerino e, soprattutto, a seguito della scoperta di un accordo segreto per la fornitura di armi (lo scandalo Irangate) da parte degli Stati Uniti all’Iran, in violazione dell’embargo nel frattempo istituito.

 

La Rivoluzione Islamica pose da subito le basi per una lunga crisi internazionale che vedeva sempre più contrapposti i due Paesi: da  una parte l’Iran secondo cui gli USA sono il “grande satana”; dall’altra  gli USA che vedendo nell’Iran la fonte  dei finanziamenti al terrorismo internazionale di matrice fondamentalista, lo consideravano “uno Stato canaglia”, perno, assieme ad altri, dell’Asse del Male.

 

A esasperare ulteriormente i difficili rapporti, nel 1995 Bill Clinton decretò un ampliamento dell’embargo per costringere l’Iran ad abbandonare il programma nucleare ed il sostegno al terrorismo islamista. La rottura completa delle relazioni  commerciali gettò l’Iran in una condizione economica pesante, esasperata già dal crollo del prezzo del petrolio e dalle conseguenze devastanti della guerra contro l’Iraq, durata otto anni.

 

La crisi diplomatica tra i due Paesi ebbe una recrudescenza con l’attentato terroristico a New York  l’11 settembre 2001. Gli USA accusarono l’Iran di continuare a sostenere il terrorismo internazionale dando asilo ai combattenti di Al Qaeda, responsabile del crollo delle torri gemelle, e di appoggiare gli hezbollah attivi soprattutto in Libano.

 

Altro punto di storica controversia è Israele: per l’occidente uno stato pienamente riconosciuto legittimo, per l’Iran, invece, uno Stato colpevole di aver estorto alla Palestina i territori occupandoli. Il conflitto israeliano-palestinese racchiude in sé da sempre i diversi schieramenti delle fazioni mondiali contrapponendosi da una parte la posizione iraniana, tendente a far scomparire dalla mappa geografica Israele non senza minacce e proclami, e dall’altra quella americana, protesa al contrario a rinforzare in tutti i sensi la legittimità del paese giudaico.

 

Recentemente qualcosa pare stia cambiando. Il raggiunto accordo tra le parti sancito agli inizi del 2016, che vede il congelamento del programma nucleare da parte dell’Iran e il conseguente ritiro dell’embargo commerciale da parte dei Paesi occidentali, finalmente profilano un significativo disgelo: un accordo epocale che ripristina le transazioni commerciali e le basi per un significativo sviluppo economico. La reazione del popolo iraniano si è fatta sentire subito. Migliaia di persone, alla notizia,  sono scese per strada esultando e festeggiando, considerando per altro che le ultime generazioni (la popolazione con meno di 29 anni è pari al 57%) sono nate successivamente alla Rivoluzione Islamica e alla rottura delle relazioni. Se ciò prospetta un nuovo scenario in cui riprendono le transazioni commerciali,  rimangono, tuttavia, le sanzioni legate alla violazione dei diritti umani da parte delle autorità iraniane, irremovibili su quest’altro fronte.

 

L’Iran è anche altro: un paese dalla storia millenaria, dal fascino misterioso, capace di catturare il visitatore per i luoghi che trasudano di un passato glorioso. Situato sulla leggendaria  via della seta, fu attraversato da Marco Polo sul finire del 1200 nei suoi viaggi in Cina. Ogni visitatore rimane affascinato dalla bellezza dei tanti luoghi di grande interesse storico: Persepolis, che ricorda l’antico impero achemeide, la regione zoorastraiana nel sud del Paese, le antiche città con moschee, palazzi e giardini profumati.  L’antica Persia, terra di poeti raffinati, è abitata da un popolo colto e molto ospitale.

 

Erroneamente assimilato al mondo arabo per la comune religione islamica, il popolo iraniano  proviene in realtà da un ceppo indo-europeo. Lo si capisce dai tratti somatici e dai colori, non molto diversi in molti casi da quelli degli italiani del centro-sud. L’Iran si differenzia da altri paesi musulmani per l’interpretazione sciita, diffusa secondo stime in oltre il 90% di fedeli tra la popolazione.

 

L’Iran è ubicato in pieno Medio Oriente e confina con Paesi non facili da visitare ma, a differenza di questi e contrariamente ai luoghi comuni, sicuro e possibile anche ad un viaggiatore non molto esperto. Bastano poche ore per sentirsi avviluppati da una sensazione di elevata sicurezza: per le strade, incontrando la gente, in ogni istante e dappertutto. Anche le statistiche riportano una bassa micro-criminalità, sebbene nelle grandi città la prudenza sia sempre d’obbligo.

 

Un Paese certamente complesso e controverso tanto da disorientare il visitatore. Sembrano quasi coesistere due volti diversi dell’Iran: da una parte lo Stato oscurantista e autoritario, incline alla soppressione di ogni diritto civile, dall’altra un paese in cui trasgredire le regole ferree è un costume molto radicato nella vita delle persone, ben oltre l’immagine stereotipata che ne ha l’occidente . È il Paese in cui vi è un divario notevole tra i comportamenti da tenere in pubblico per via di uno stile imposto dalle autorità governative e religiose e lo stile proprio degli iraniani che in privato possono osare con grande scioltezza. Repressione e negazione dei diritti civili coesistono con permissivismo e tolleranza, in un modo complesso in cui è difficile stabilire la linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che diventa rischio. La rigida separazione dei sessi su cui si fonda il modello teocratico iraniano trova un corrispettivo opposto nelle facili interazioni tra uomini e donne nell’intimo degli spazi privati.  È  il Paese delle molteplici esecuzioni e dei facili arresti ma anche il Paese con un consumo sfrenato di alcool e droghe.

 

La visione islamica dell’Iran si concretizza nella demonizzazione di tutti gli aspetti legati all’Occidente, considerati contro la morale e per questo censurati: la musica,  la cravatta e  i pantaloncini corti per gli uomini, la filmografia. Il mercato nero, però, è fiorente nel fornire tutto ciò che è considerato proibito dallo Stato e non è difficile trovare film e musica proveniente dall’America e dall’Europa.

 

Uno dei miei viaggi è coinciso interamente con il periodo dedicato al Ramadan, durante il quale le regole sociali divengono ulteriormente rigide: non è possibile mangiare, bere né fumare  dall’alba al tramonto e ogni deroga, se manifestata n pubblico,  viene pesantemente sanzionata con l’arresto. Eppure, non era difficile trovare nei vicoli nascosti, al riparo di possibili sguardi, più di qualcuno nell’intento di gustare la propria sigaretta. In ogni casa in cui sono stato ospite, il pranzo era il momento più atteso, consumato regolarmente come nel resto dell’anno.

 

A vigilare sulla corretta osservanza dei precetti islamici operano attivamente le Guardie della Rivoluzione (in persiano Pasdaran)  e il Basjii, le due espressioni,  diverse per struttura e compiti ma in stretta dipendenza il secondo dal primo, dell’ordine pubblico iraniano.

 

Sono gli uomini di questo diffuso esercito para-militare a garantire la sorveglianza sulla “morale islamica” e la repressione delle attività dei dissidenti del regime religioso iraniano.

 

Prevalentemente giovani e di sesso maschile (ma non mancano le donne, seppure in misura minore), sono sparsi per i grandi centri e nelle più remote provincie. Fervidi fedeli alla religione di Stato e assidui praticanti, sono spesso riconoscibili per l’occhio vigile con cui controllano il territorio. Per questo temuti, evitati. La tendenza è per tutti possibilmente non averci a che fare.  Al loro cospetto, tutti assumono un comportamento corrispondente alle regole sociali e  rientrano nella carreggiata conforme all’ordine prestabilito. Il loro intervento non può non incutere la paura di possibili conseguenze se non si è in regola.

 

In Iran, la regola ferrea della separazione dei sessi prescrive che un uomo e una donna non possano sostare da soli su una panchina se non sposati; è assolutamente vietato fumare, bere e mangiare durante il Ramadan, alle donne è richiesta la copertura del capo almeno con un foulard: alcuni dei comportamenti che potrebbero condurre ad un fermo in caserma.    

 

Migliaia di ragazzi subiscono ogni anno frustate e arresti per aver bevuto alcolici o aver frequentato feste a cui partecipano, violando il divieto assoluto,  maschi e femmine o per oltraggio al pubblico pudore. Le autorità iraniane considerano le frustate una punizione adeguata per combattere comportamenti ritenuti immorali[1]. Eppure la popolazione giovanile è spinta a recepire gli effetti della globalizzazione che sollecita comportamenti e costumi opposti alle imposizioni ufficiali. Tutti sono autori di qualche trasgressione, sebbene molti ne abbiano poi subito le conseguenze.

 

Comprendere la complessa realtà iraniana significa dover dipanarsi quindi tra le sue molteplici contrapposizioni tra tradizione e modernità, tra precetti islamici e tendenze occidentali, tra religione e laicità.

 

La facciata “religiously  correct”  imposta dal regime islamico, è certamente più facilmente surclassata dalla borghesia iraniana che sogna una società islamica moderna, seppure  in pubblico comunque costretta a seguire i precetti religiosi imposti  per legge dalla Repubblica Islamica. L’appartenenza a status socio-economico alto consente maggiore distensione della costrizione sociale, ovvero più facilità nella emulazione di un modello esistenziale più libero e permissivo.    Le classi popolari e rurali, invece, sono più saldamente legate alle tradizioni islamiche e maggiormente predisposti a conformarsi alle regole sociali.

 

 In Iran si rimane colpiti da scene molto diverse, a significare contesti culturalmente e socialmente contrapposti ma coesistenti: i chador neri della città santa di Qom e le scarpe variopinte di Teheran nord, gli abiti da sera (che a rigor di legge possono essere indossati solo in casa ed alla presenza del solo marito) in vendita al bazar, le ragazze  coperte per strada e “svestite” in abiti estivi nelle feste nelle case private; l’aggressività politica nei confronti degli USA e di Israele e la mostra sul pop art (Andy Warhol, Roy Licthenstein, Jasper Jones e altri) nell’ultimo anno al museo di arte contemporanea di Teheran.

 

Esiste un Iran pubblico, quello per strada ove si è tenuti al rispetto delle leggi statali di chiara matrice coranica, e quello che si vive in casa, ove, invece, tutto è permesso e lecito. Se all’aperto occorre un contegno rispettoso di tutte le norme sociali che impongono restrizioni, in casa, al riparo di qualunque controllo della Polizia Morale, tutto sembra possibile.

 

In Iran le bevande alcoliche sono tassativamente proibite. Proibite, ma non introvabili. In realtà, ogni famiglia ha il suo “uomo di fiducia” che può procurare in ogni momento liquori di marca estera importati di contrabbando o produzioni clandestine locali.

 

Anche la rigida separazione dei sessi trova il suo corrispettivo di integrazione possibile se si deroga dal ferreo controllo della Polizia Morale. Per strada non è possibile per un ragazzo e una ragazza, se non  sposati, osare atteggiamenti di vicinanza fisica che risultino troppo intimi, sui mezzi di trasporto vi sono spazi riservati agli uomini e spazi per le donne. Eppure nelle case, al riparo da tutti, uomini e donne socializzano e interagiscono come succede normalmente in Occidente.  

 

In un tale scenario, in cui regola e trasgressione sono il corrispettivo di pubblico e privato,  anche la realtà omosessuale si presenta sorprendentemente contraddittoria: da una parte l’Iran delle numerose esecuzioni capitali a danno di persone gay, dall’altra una fervida realtà di giovani che si incontrano, fanno comunità, tendono ad affermarsi nella loro “immorale” identità.

 

Per molti la questione omosessuale, in quanto riconoscimento della libertà di espressione e dei diritti civili, diviene un parametro di valutazione del grado di civiltà di un Paese. Così è secondo l’ILGA[2] (International Lesbian Gay Association), che vede nella condizione delle persone omosessuali uno degli indicatori più efficaci del progresso civile di una nazione. Il panorama mondiale è da questo punto di vista molto variegato:  ad un estremo vi sono i Paesi che hanno legittimato il matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’altro estremo quelli che, invece, prevedono forti sanzioni per gli atti omosessuali. Nel continuum tra Paesi liberali e Paesi che considerano illegale l’atto omosessuale, l’Italia per molto tempo nell’Europa occidentale si è collocata in una posizione intermedia per l’assenza di normativa a riguardo. Nel giugno del 2016, ottemperando ai continui richiami da parte del Parlamento Europeo, è finalmente  entrata in vigore la legge che disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso.

 

L’Iran, per l’Occidente, rimane pervaso da una pessima fama,  configurandosi come uno dei paesi al mondo più ostile e repressivo verso le persone omosessuali, poiché prevede punizioni estreme per chi commette atti considerati immorali e non rispettosi della volontà divina. La legge, molto dura verso gli omosessuali, prevede l’arresto e l’esecuzione capitale, tanto che da tempo gli attivisti mondiali per i diritti civili si mobilitano per porre fine alla diffusa repressione iraniana.

 

Sono stato quattro volte in Iran -  nel 2011, nel 2013,  nel 2015 e nel 2016 - dopo  numerosi altri viaggi in Paesi di religione e cultura islamica:  nel nord Africa,  in medio-oriente,  nell’estremo oriente e nella Repubblica Centroafricana,  effettuati talvolta da solo nel desiderio di confondermi e lasciarmi coinvolgere il più possibile nella realtà locale.

 

Da sempre affascinato dalla cultura musulmana, l’idea di andare in Iran mi stuzzicava da tanto tempo, convinto di trovare un Paese diverso da come ce lo rappresentiamo. E a farmi tornare altre volte, oltre alla bellezza dei luoghi e lo stile architettonico delle città, è stato soprattutto il fascino del popolo, erede di un’antica ed erudita civiltà e che si rivela, già al primo impatto, colto e molto accogliente. “Welcome to Iran” e una stretta di mano sono i segni diffusi di una accoglienza che smonta presto i possibili pregiudizi a loro sfavore. Quante volte, all’inizio, io stesso ho dovuto fare i conti con la mia ingiustificata diffidenza di fronte a coloro che calorosamente si avvicinavano a me offrendomi disponibilità e cortesia in cambio di null’altro che il piacere evidentemente di uno scambio culturale!

 

Ho scoperto che molti altri visitatori, italiani e non,  condividono queste impressioni, tanto che, come me, non sono pochi quelli che, pervasi dal fascino dell’Iran,  ci sono tornati più volte. Con alcuni sono ancora in contatto per il piacere di condividere sensazioni e ricordi legati ai personali viaggi.

 

Nel corso di questi viaggi in Iran, interessato da sempre alla condizione di ogni  minoranza, sono stato mosso dal bisogno di conoscere meglio la condizione omosessuale tra la morsa delle facili sanzioni e la spinta ad una vita normale. Come vive la gente in un paese in cui ogni azione è fortemente rischiosa? Esiste una comunità gay? Come ci si incontra in mancanza assoluta di locali e luoghi pubblici di incontro per omosessuali? Quale importanza ha internet, nonostante la censura dei social network, per favorire la possibilità di incontrarsi?

 

Queste domande mi hanno guidato nella esplorazione di un mondo non facile, sotterraneo e votato alla clandestinità, spinto dal bisogno di capire come vive una persona omosessuale nella costante paura di finire impiccato.

 

Nel corso di quattro anni, utilizzando diversi social network,  ho preso dapprima contatti con numerosi omosessuali che vivono nelle diverse regioni del Paese. Ho intrattenuto per lungo tempo costanti conversazioni on line, telefonicamente e mantenuto frequenti  scambi preziosissimi tramite mail con decine di ragazzi di estrazione diversa, molti dei quali ho poi incontrato fattivamente durante i diversi viaggi. Molti mi hanno ospitato, con altri ci siamo incontrati per lunghe chiacchierate. Ho raccolto storie di vita, ascoltato personali testimonianze, accolto la narrazione delle loro esperienze.  Ho conosciuto, così, Moein, Mohsen, Reza, Siamak, Ahmed e tanti altri in molte città dell’Iran, tra visite ed esplorazioni di luoghi storici e molto interessanti. Li ho incontrati a Teheran e nelle grandi metropoli come Shiraz, Mashad e Isfahan. Ma anche nelle piccole città del Paese, spostandomi dal Kurdistan, confinante con l’Iraq, al Mar Caspio fino alle zone confinanti con il Turkmenistan, nell’area desertica a sud. I loro nomi, molto comuni in Iran, non consentono alcun rischio di identificarli, avendo omesso o modificato ogni informazione che possa far risalire alla loro identità.

 

Ogni incontro è stato emotivamente molto intenso. Nonostante le difficoltà linguistiche che il più delle volte hanno ostacolato il flusso comunicativo, mi sono sentito sempre molto toccato dai loro racconti, provando spesso emozioni pesanti di fronte a drammi personali che, talvolta, non hanno bisogno delle parole per essere espressi. Gli sguardi, le espressioni intense, i silenzi sono stati spesso molto eloquenti e fonte per me di forti reazioni emotive che si sono impresse in me in modo indelebile.

 

La mia posizione di straniero ha sollecitato molti a esternare senza reticenza il loro punto di vista,  le loro paure, la tanta rabbia e, comunque, la totale disapprovazione per le regole a loro imposte.

 

Uomini, ovviamente, senza la possibilità di contattare donne omosessuali per il divieto assoluto di interagire con loro, cosa che avrebbe nel caso aumentato le difficoltà logistiche e gli stessi rischi per uno straniero che ufficialmente è in vacanza in Iran.

 

A guidarmi,  sempre e comunque, la prudenza e l’accortezza degli incontri e delle registrazioni, puntualmente inviate via mail e presto cancellate perché non rimanesse traccia in un eventuale controllo delle autorità.

 

Mi interessa capire cosa vi è oltre l’immagine stereotipata dell’Iran sanguinario verso il popolo gay. Voglio conoscere la realtà sommersa di chi, tenta di vivere di fronte alla morsa dei rischi e dei pericoli incombenti, voglio sapere come i gay impostano la loro vita per aggirare l’ostilità delle autorità iraniane. Questo resoconto vuole tentare di fotografare la realtà omosessuale oltre la facciata di immagine che tende a occultare al turista ignaro ogni aspetto scomodo, convinto che accanto ad un Iran conosciuto per le condanne a morte e gli arresti esista, tuttavia,  parallelamente una comunità omosessuale vivace e vitale.

 

Mi sono sempre risuonate alla mente le parole di un iraniano conosciuto a Roma: “Tante cose non potrai mai vederle in Iran. Sono molto abili nel nascondere le cose e non mostrarle agli stranieri. Anche gli omosessuali iraniani si confideranno poco”. Un limite, oltretutto, dettato dai tempi ristretti delle permanenze che non hanno mai superato i 20 giorni. Ma nonostante abbia sfiorato il mondo complesso e sommerso della omosessualità in Iran, ciò che ho direttamente conosciuto lo ritengo sufficientemente indicativo.

 

Per comprendere meglio il contesto iraniano, ho cercato di approfondire gli aspetti giuridici, storici e antropologici, ricorrendo a quanto reperibile on line e alla scarsa bibliografia sulla questione omosessuale in Iran. La constatazione che vi è poca testimonianza di quanto accade lì mi ha sollecitato a scrivere: per  far emergere aspetti sommersi, per dare voce a coloro che vivono nel silenzio, per contribuire a meglio fotografare un contesto lontano ma oggi più vicino, per dare evidenza di come la comunità omosessuale, pur nella repressione, riesca a trovare grandi opportunità di espressione e incontro.

 

Nell’approcciare un tema così delicato, infine, ho cercato di contenere ogni possibile giudizio su quanto ho potuto vivere, nella convinzione che ogni realtà è la risultante di un proprio processo storico e antropologico e per questo vada inquadrato senza alcuna interferenza pregiudiziale. Ad accompagnarmi è stata sempre una massima empatia nei confronti di coloro che hanno voluto confidarmi frammenti della propria vita, pensieri, emozioni.

 

Questo libro, a loro dedicato in segno di ringraziamento per avermi coinvolto nella loro storia personale,  è il tentativo di dare forma e senso alle tante suggestioni scatenate dai viaggi in Iran e, soprattutto, alle forti e pesanti emozioni che talvolta mi hanno suscitato le persone che si sono raccontate. Quasi un libro catartico quindi, in quanto mi permette di esternare e condividere con chi lo leggerà gli effetti totalizzanti di una immersione piena nella dimensione della sofferenza di molti iraniani omosessuali.

 

 Il libro è giunto a compimento grazie al sostegno e ai rinforzi di alcuni amici. Voglio ringraziare particolarmente Simona M., Federico, Paolo, Maurizio, Giuliana, Antonella e Alessandra per avermi dato preziosi e continui suggerimenti nel corso della stesura e per avermi, con molto affetto, sostenuto e sopportato nel mio travalicante bisogno di confronto continuo. Un ringraziamento particolare a Farzan per l’aiuto che mi ha fornito man mano nel cogliere aspetti della realtà iraniana di non facile decodifica. Senza tutti loro, sicuramente, sarebbe stato tutto più arduo.